Tutela dei Dirigenti

Nel mio studio assistiamo e tuteliamo i dirigenti e offriamo supporto sia al momento dell’assunzione, con consulenze mirate e redazione dei contratti, che in fase di cessazione del rapporto, in seguito a licenziamento o nel caso in cui il dirigente volesse lasciare l’azienda.

I dirigenti sono quei lavoratori che eseguono una prestazione di carattere prevalentemente intellettuale e che ricoprono un ruolo caratterizzato da un alto grado di professionalità, autonomia e potere decisionale. Il dirigente ha un elevato grado di responsabilità nei confronti dell’imprenditore e la sua attività è volta a promuovere e coordinare la realizzazione degli obiettivi aziendali.

il Dirigente è il cosiddetto alter ego dell’imprenditore, preposto alla direzione dell’impresa, di una branca o di un settore autonomo della stessa. Il potere decisionale del dirigente si manifesta anche attraverso la possibilità di impartire direttive a tutta l’impresa, seppur in diretta correlazione con l’imprenditore.

La principale peculiarità del rapporto di lavoro dirigenziale va dunque ricercata nell’ampia autonomia di cui gode e nella grande discrezionalità delle decisioni che lo stesso può assumere, pur nel rispetto delle direttive di ordine generale dal datore o dal CdA.

Secondo una ricostruzione giurisprudenziale più moderna, la figura dirigenziale deve essere delineata tenendo conto dell’organizzazione interna dell’azienda e della diversificazione dei ruoli. L’esigenza di un organigramma più agile, ma comunque connotato da diversi livelli di responsabilità ed autonomia, fa sì che alla figura del top manager si affiancano delle figure professionali intermedie, dotate comunque di alti livelli di professionalità, autonomia e responsabilità. Nel concreto, tutte queste valutazioni vanno fatte dunque alla luce della singola realtà aziendale.

Alla luce dell’autonomia di cui gode nelle scelte di indirizzo dell’attività aziendale, il dirigente è sottoposto unicamente alle direttive del datore di lavoro. Un dirigente, dunque, non può essere sottoposto ad alcun tipo di vincolo di subordinazione gerarchica nei confronti di altri dirigenti. Un’eventuale dipendenza gerarchica nei confronti di altro dirigente sarebbe completamente incompatibile con la sussistenza del ruolo dirigenziale. Come precisato anche dalla Corte di Cassazione, le mansioni del dirigente possono essere coordinate con quelle di altri dirigenti, ma non possono essere subordinate ad esse.

Il rapporto di lavoro dei dirigenti, dunque, ha caratteristiche molto peculiari rispetto a quelle delle altre categorie di lavoratori (operai, impiegati, quadri). Il dirigente, infatti, pur essendo a tutti gli effetti un lavoratore subordinato, si distingue dalle altre categorie di lavoratori per diverse ragioni e il rapporto di lavoro è regolato in gran parte da normative speciali e dal contratto collettivo applicato al rapporto in base al settore di appartenenza. I vari contratti collettivi prevendono poi norme specifiche applicabili soltanto a quella singola categoria.

Una delle principali differenze con le altre categorie di lavoratori è rappresentata dalla disciplina della cessazione del rapporto di lavoro, in particolare del licenziamento.

Ai dirigenti infatti non si applica la disciplina che limita il potere di recesso del datore di lavoro e che subordina il licenziamento alla presenza di una giusta causa o di uno giustificato motivo.

In caso di licenziamento del dirigente, il datore non è tenuto a fornire una motivazione analoga a quella richiesta nel caso di licenziamento di altre categorie di dipendenti. Ciò non significa, tuttavia, che il dirigente possa essere licenziato in maniera arbitraria. I contratti collettivi prevedono diversi vincoli e condizioni al fine di limitare la possibilità di licenziamenti immotivati o pretestuosi

La facoltà di licenziare un dirigente è limitata dalla c.d. giustificatezza del provvedimento. Il licenziamento del dirigente deve infatti sempre essere supportato e accompagnato da una motivazione.

Nessun contratto collettivo, però, offre una definizione precisa di giustificatezza, pertanto questo concetto deve essere inteso nel senso che, il licenziamento del dirigente deve essere privo di arbitrarietà.

In caso di licenziamento illegittimo poiché privo di giustificatezza il dirigente licenziato non ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro ma unicamente a un’indennità economica il cui ammontare è indicato dalla contrattazione collettiva. In genere tale indennità va da un minimo dell’indennità di mancato preavviso ad un massimo di 18-22 mensilità.

Per far valere i propri diritti e ottenere il risarcimento, è necessario impugnare il licenziamento rispettando le rigide tempistiche previste dalla legge. Il dirigente licenziato, infatti, ha 60 giorni di tempo per impugnare il licenziamento. In questa fase delicata è opportuno farsi assistere da un avvocato esperto in diritto del lavoro per evitare errori formali che potrebbero rendere nulla l’impugnazione.

Una volta impugnato il licenziamento, nella maggior parte dei casi si trova un accordo con l’azienda in tempi brevi, senza che sia necessario fare una causa. Normalmente infatti, il datore di lavoro, ricevuta l’impugnativa, al fine di evitare il rischio di una causa, contatta il nostro studio per valutare la possibilità di trovare una soluzione conciliativa.

Qualora non sia possibile arrivare a un accordo soddisfacente, se ci sono i presupposti, è necessario fare causa al datore promuovendo un giudizio al Tribunale del Lavoro. Anche in questo caso le tempistiche sono rigide e bisogna depositare il ricorso entro 180 giorni che decorrono dall’invio della comunicazione di impugnazione.

Nonostante alcune pronunce recenti della Corte di Cassazione più morbide in materia di termini di impugnazione, a nostro parere, è sempre meglio rispettare i termini di cui sopra (60 giorni e 180 giorni) previsti per l’impugnazione al fine di evitare errori formali che potrebbero compromettere l’ottenimento del risarcimento del danno.

Nella mia attività di assistenza ai dirigenti il mio obiettivo è quello di ottimizzare le condizioni economiche (buona uscita/incentivo all’esodo) legate alla risoluzione del rapporto di lavoro del dirigente anche in caso di licenziamento.

Una questione molto cara a molti lavoratori e lavoratrici, e molto affrontata nei tribunali, è quella del mancato riconoscimento della qualifica dirigenziale. Molto spesso infatti un lavoratore svolge per lungo tempo mansioni tipiche del dirigente, godendo di autonomia e potere decisionale, ricoprendo di fatto questo ruolo, pur essendo formalmente inquadrato come quadro o addirittura impiegato. Ai fini dell’individuazione delle caratteristiche del profilo dirigenziale occorre valutare e fare riferimento alle concrete modalità con cui l’attività lavorativa è esercitata, a prescindere dalla qualifica formale del lavoratore.

In questi casi il lavoratore che è stato sotto inquadrato e dequalificato può agire contro il datore di lavoro, per ottenere il pagamento di tutte le differenze retributive e contributive maturate nel corso del rapporto per l’espletamento delle superiori mansioni svolte, cioè il pagamento delle somme che avrebbe percepito se fosse stato inquadrato correttamente e se gli fosse stata riconosciuta la qualifica dirigenziale. Ovviamente, più lungo sarà stato il rapporto, più alto potrà essere il risarcimento.

Tale richiesta di risarcimento può essere avanzata al datore sia in costanza di rapporto, sia dopo la cessazione dello stesso. Anche queste controversie, nella maggior parte dei casi, si risolvono con un accordo con l’azienda in tempi brevi, senza che sia necessario promuovere una causa davanti il Giudice del Lavoro. Normalmente infatti, il datore di lavoro, per evitare il una causa e i rischi connessi, contatta il nostro studio per valutare la possibilità di trovare una soluzione conciliativa. Qualora invece non ci fossero gli estremi per un accordo soddisfacente, sarà necessario agire in giudizio per ottenere il risarcimento.

Un’altra caratteristica del rapporto di lavoro dirigenziale che lo distingue dalle altre figure riguarda l’orario di lavoro e la relativa normativa.

Le disposizioni di legge in materia di orario di lavoro si applicano ai dirigenti solo con riferimento alle previsioni in materia di riposo settimanale, ferie e limitazioni dell’orario notturno. Nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni in materia di orario normale di lavoro, durata massima della prestazione lavorativa, lavoro straordinario e del riposo giornaliero non si applicano ai dirigenti.

Questa peculiarità è dovuta alle caratteristiche particolari dell’attività lavorativa posta in essere dai dirigenti. La loro prestazione lavorativa infatti non può essere calcolata o predeterminata e il dirigente può decidere autonomamente come distribuire e ripartire lavoro e riposo, nel rispetto dell’obbligo di lavoro quotidiano. Pertanto, i dirigenti non hanno diritto ad alcun tipo di compenso in caso di lavoro straordinario, essendo la loro retribuzione determinata in relazione alla qualità della prestazione e non al numero di ore effettivamente lavorato.

Un’altra peculiarità del lavoro dirigenziale è rappresentata dal fatto che il rapporto può esplicarsi in forza di un contratto di lavoro subordinato, sia sulla base di un mandato ai sensi dell’art. 2086 del codice civile. Il mandato infatti rappresenta uno strumento adeguato alla luce dell’autonomia conferita al dirigente. Il conferimento del mandato e dell’eventuale procura può rappresentare un ulteriore arricchimento di compiti, poteri e responsabilità.

Molto spesso, al momento dell’assunzione, il dirigente sottoscrive con l’azienda anche un patto di non concorrenza, un accordo con il quale il dirigente si impegna a non esercitare attività in concorrenza, anche potenziale, con quella del datore dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Affinché il patto di non concorrenza sia valido deve essere stipulato per iscritto e deve prevedere in maniera precisa i limiti di validità in termini di tempo, di territorio e di attività professionale che si può o meno svolgere. A differenza delle altre categorie di lavoratori, il patto di non concorrenza del dirigente non può avere durata superiore ai 5 anni.

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